venerdì 26 novembre 2010

DESIGNATED RIOT AREA


"Si conobbero. Lui conobbe 
lei e se stesso, perche' in verita' non s'era mai saputo. E lei conobbe 
lui e se stessa, perche' pur essendosi saputa sempre, mai s'era potuta riconoscere cosi'." Italo Calvino


C’era una volta, in un film, una ragazza che diceva che avrebbe voluto fare un buco nel muro perchè dall’altra parte c’era qualcuno che stava morendo, dall’altra parte del muro. C’era qualcuno. Vorrei ora fare un buco in questo muro anche io. Vorrei fare un buco in questo muro e vedere che no, non stai morendo. Vorrei vivere così, in una casa con le pareti bucate per poterti sempre vedere e poi sorridere nell'accorgermi ogni minuto che sei ancora vivo. Rinnovare la gioia di non essere morti ogni volta che ci incrociamo. E ci sono delle vie che ho percorso a testa bassa perchè pioveva e non avevo l’ombrello, delle vie sconosciute di una città non troppo lontana ma non te lo racconterò mai. C’erano delle scritte luminose, c’era una storia che si poteva leggere solo correndo ma io ero troppo stanca per correre e allora l’abbiamo letta camminando e quasi sicuramente c’è sfuggito il senso di qualcosa. Camminare e non riconoscere i marciapiedi significa aver superato un confine. Quello che è stato tuo e che ora è mio e che forse un giorno non tanto lontano, tipo a primavera, sarà nostro. Le pareti di questa stanza forse non le avresti riconosciute, ci sono dei buchi di trapano, ci sono delle zanzare spiaccicate sopra, volevo metterci un quadro ma non ho avuto tempo. Quante persone ci avranno abitato prima di me, prima di te. E mentre siamo qui a ragionare di pareti stanno accadendo delle piccole rivoluzioni, ci verranno a chiamare e ci troveranno impreparati, correremo fuori da questa casa mentre tutti correranno fuori da tutte le case e saremo tutti ma proprio tutti insieme, ci troveremo in aree designate alla rivolta e circoscritte da una linea di vernice fucsia. Non ti dimenticare la bomboletta, la sciarpa da tenersi sul viso, lo zaino con le chiavi della bici attaccate. Non ti dimenticare la divisa. Che si veda che siamo disperati. Che si veda che siamo usciti di casa, che sono venuti a prenderci, che ci hanno tirato fuori, che sappiamo cosa facciamo e cosa vogliamo ma soprattutto chi siamo. Diamo almeno un senso a questo nostro camminare di fretta, diamogli una meta. Diamoci almeno l’opportunità di dire che ci abbiamo provato. Che sì, ci abbiamo provato davvero. Che non si dica che non ci abbiamo provato.



(acquarello di Michele Bernardi, dal video "Quando tornerai dall'estero" -Le Luci della Centrale Elettrica-)

lunedì 15 novembre 2010

Vieni via con me


e tutti insieme dicono, Hai superato la prova, era solo una prova, sai, tutto quanto, stavamo solo scherzando, la vita vera è molto meglio di così (Miranda July, Tu più di chiunque altro)


Vieni via con me è l'unica cosa che mi viene da dire in questo momento, l'unica parvenza di attesa sensata, l'unica proposta.

E domani posteremo su Facebook i video delle nostre canzoni preferite, dedicandocele in segreto. Ci confonderemo le idee ancora per molto. Porteremo il curriculum a qualche pizzeria e ci prometteremo di non lasciare nulla di intentato, ma intanto siamo già lontanissimi e presto accenderai il caminetto per riscaldare le spalle, le braccia, la nuca, la schiena di qualcuno che non vorrò conoscere e ci diremo piano, in gran segreto, che non si poteva far altro che questo. Far, diremo far senza la e finale e sul momento non ci farò caso ma quando tornerò a casa rimpiangerò quella e non detta e magari ti manderò un sms con scritto solo e.

Occuperemo i nostri pomeriggi sfogliando le offerte di lavoro mentre gli operai occuperanno le fabbriche e gli studenti le scuole e i cassieri i supermercati. Tutti che occupano tutto. Sarebbe così bello. Sarebbe bello anche tornare a dare del voi, a ricercare qualche forma di cortesia misurata, di candida ipocrisia. Ci vorrebbero le camicie da notte di cotone pesante, l'acqua di rose, i grammofoni. Bisognerebbe riscoprire il pudore, scrivere a mano, andare in bicicletta. Ballare dei lenti. Scoprire delle cose nuove, anche. Tipo i glicini, le bacche di ginepro. Così potremmo restare innamorati, senza dirselo mai. Intanto cerchiamo parcheggio il più possibile vicino a casa, gli ausiliari del traffico ci faranno la multa e non ci resterà altro che pagarla.

Non verrai via con me, non oggi almeno. E domani neanche, domani troveremo delle scuse diverse, saremo ancora più confusi e ancora più lontani, penseremo alle capitali di altre nazioni come a rifugi antiatomici e faremo progetti dettagliati sui nostri diversi futuri, le strade che ora si separano, gli oggetti che ci dimenticheremo di riprendere e tutte le parole che ci siamo dimenticati di appuntare. Ci renderemo conto di alcune cose banali come il dover prendere le chiavi prima di uscire. La necessità di mettere i fiori in un vaso più grande. Il rumore che facciamo entrando in casa. L'importanza che diamo alle promesse.

martedì 9 novembre 2010

Come essere svegli



Ci piaceva aprire i libri a caso e dare importanza alle parole ma siccome siamo soli -forse perché piove- faccio finta che sia uguale. Che le parole siano ancora necessarie. Che possiamo ancora inventare una maniera per non soccombere. Abitare vicino alle stazioni fa diventare nostalgici, credevo che avessimo ancora qualcosa da dirci invece ora preferiamo morire davanti alla soglia della portafinestra, ché dagli infissi vecchi entra il freddo e sappiamo che tanto congeleremo presto. Quando ci guardiamo da lontano cerchiamo una scusa per avvicinarci ma non ti posso chiedere l'accendino perché sai che non fumo.

La pelle in certi casi non serve a niente, non ripara dal freddo, non protegge dalle sentenze. Anzi. La pelle complica le cose, odora di fatica e racconta di tutte le cattive vicissitudini, di tutte le lacrime che sono evaporate dalle lenzuola e dagli asciugamani e dai fazzoletti di stoffa di un'altra epoca e dalle maniche delle felpe e anche dai sedili della macchina. E racconta di quando avevamo dentro così tanta rabbia che potevamo sradicare tutti gli alberi del bosco e così tanta tristezza che potevamo scavare delle buche fonde per seppellirceli dentro. Mi hai portato due buste colorate, delle lettere scritte a mano. Un dono innocente e spoglio come inchiostro e colla e pezzi di giornale. Forse la vergogna è ancora un sentimento umano. Ci siamo pensati di sicuro nello stesso istante e nello stesso istante ci siamo chiesti cos'è questo muro che ci chiude alla vista dei binari e delle scie chimiche e delle nuvole che non sappiamo più di che sostanza sono fatte e ci siamo chiesti, nello stesso istante, una spiegazione per questo disinnesco, per questo sonno, per questa resa. Senza appoggiare i piedi per terra ci siamo alzati dal letto e ci è sembrato che il pavimento non ci potesse sostenere, allora forse era venuto il momento di accorgersi che erano finite le sigarette.

Era finita la carta di giornale, l'inchiostro, le parole, che anche volendo non si sapeva più dove mettere le virgole. La grammatica è importante. Come accostare i colori. Come le luci in una stanza. Come essere svegli.

sabato 30 ottobre 2010

Prezzi modici



Bicchieri di vino rosso, birre piccole, birre medie, crostini con patè di olive, gambe accavallate, stivali di camoscio, scarpe consumate, facce ancora abbronzate, facce già bianche, un posacenere, i tuoi capelli bruciati dal sole. Cinque euro accartocciati nella tasca destra dei pantaloni. Cinque euro costano stasera questi nostri sorrisi reciproci, familiari, conosciuti. Cinque euro a testa per appoggiare le mani su un tavolino di formica e guardarci negli occhi senza parlare, vestiti come ci si veste un banale martedì sera d'ottobre, con il libeccio che cala e la strada ancora bagnata della pioggia di ieri. Nessun odore, nessunissimo odore. Il buio dura veramente poco, il silenzio non si percepisce quasi. Sette euro e mezzo tra l'indice e il pollice, un pezzo da cinque, una moneta da due e una da cinquanta. Sette euro e mezzo per stare due ore seduti accanto, gomito a gomito, senza il coraggio di cambiare posizione. Ogni tanto sospirare. Quattro euro e venti per un pacchetto di Lucky Strike. Dodici per un pieno di metano. Tre e sessanta di autostrada.

 -a me sono avanzati ottanta centesimi.
-a me due euro e trenta.
-ce la facciamo a comprare una moretti da 66 al bar della stazione.

I nostri vuoti incolmabili cerchiamo di riempirli così, a prezzi modici.

mercoledì 6 ottobre 2010

Forse siamo ancora in tempo

Finché non prenderanno coscienza non potranno ribellarsi, e finché non si saranno ribellati non potranno prendere coscienza. (Orwell,1984)




Non ci si può più permettere di andare a letto senza aver imparato una parola nuova, un nuovo concetto, una tecnica di sopravvivenza. Non si può più lasciare che siano gli altri a potare i cespugli di rose mentre camminiamo con le borse della spesa, bisogna prendere le cesoie e recidere i fiori appassiti, tagliare tutte le foglie secche, sradicare dai dintorni delle radici le erbe infestanti. Non si può più prescindere dalla cura. Non si può prescindere dalla bellezza. Mentre te ne parlo cammini con le mani in tasca e guardi il marciapiede, mi dici solo sono d'accordo.

sabato 2 ottobre 2010

Questo arrendersi


Credo dipenda dall'aria che respiriamo, che quando fa le libecciate ci facciamo l'aerosol di mercurio. Credo dipenda da come ci nutriamo, io che ti preparo una cenetta, noi che nella catena alimentare siamo quelli più fortunati perché non ci mangia nessuno e ci sembra di essere invincibili, immortali, di essere resistenti come i vetri antisfondamento, ma meno trasparenti. Credo dipenda dai colori, tutta la gamma dei grigi dei marroncini e dei verdolini, l'antracite dei parcheggi quando piove, i sedili dei regionali, gli sputi sui marciapiedi, i marciapiedi stretti, i marciapiedi con le mattonelline piccole quadrate, i marciapiedi lisci (il grigio è il colore complementare di se stesso) Credo dipenda dalla luce, dai neon, dalle insegne dei parrucchieri che non vanno mai in pensione, dai fari delle macchine che vanno piano, dai lampioni della 206, dalle luci delle gallerie che ogni volta che ci passo mi sembra di rivivere una vita precedente, prendere un acido e vedere queste luci della galleria che diventano stelle comete, i lumini dei cimiteri, i luna park. Credo dipenda dalle panchine, dal cromo esavalente, dai contenitori per la raccolta delle pile scariche che non si trovano più, dall'assessorato alle politiche giovanili, dai gingle inventati da qualche neolaureato psicologo del lavoro, dalle vetrine di Gucci, dalle feste di Cavalli. Però c'è un bene che mi sembra di averti voluto e poi la sensazione di essere ancora in tempo e soprattutto la voglia che avrei di ricevere in dono una foglia quando torni a casa e parcheggi un po' più lontano. E mentre cammini dalla macchina al portone pensando ai leghisti e alle ruote consumate delle biciclette vecchie usate degli studenti vedi questa foglia e pensi a me e pensi che sarebbe bello regalarmela e la prendi e me la regali per davvero. Credo dipenda dai gesti piccoli che non si fanno questo piegarsi sempre in avanti, questo arrendersi.

mercoledì 1 settembre 2010

Ti crederanno tutti


Parlavo di te alla gente ma senza fare nomi. Parlavo di te come si parla di un luogo che tutti conoscono ma che nessuno ha visto. Parlavo di te come se tu fossi molto più bello di quello che sei ma non importa e tutti comunque mi hanno creduto. Ho parlato di te come si parla dei regali ricevuti e mai scartati, ti ho descritto come una dimensione inaccessibile e pur sempre tangibile. Parlavo di te con la faccia seria, con l'impressione dello svelamento di un segreto. Ti ho descritto come si descrivono gli animali esotici, con termini tecnici, misurando le distanze e i volumi, i guadagni e le rimesse. Parlavo di te alla gente per necessità di condividerti, parlavo di te e non con te. Ti descrivevo come si descrivono le usanze di un'altra cultura, che non le puoi capire fino in fondo se non ci sei nato. E io invece ci sono nata. Mio malgrado, nostro malgrado. Parlavo di te come di una ricetta, ma di quelle della nonna, che le puoi imitare ma tanto non ti verrà mai bene come a lei ed era lo stesso un inganno perché alla fine nemmeno io sapevo qual'era l'ingrediente segreto. Ho parlato di te come se fossi una sigaretta senza filtro, un passaggio a livello, un setaccio. Ti ho chiesto infinite intime scuse ma alla fine parlavo di te con la voce finta dei telecronisti, di quelle donne belle che annunciavano i film negli anni novanta. Parlavo di te con nonchalance, come si parla dello zucchero di canna nel caffè o altre cose che fanno ridere. Alla fine ti descrivevo come si descrivono le commedie americane, i ristorantini aperti da poco, i vestiti comprati ai saldi. Alla fine potevo anche fare nomi, alla fine parlavo di te uguale a come si risponde alla domanda come stai. Dicendo solo parole imprecise, vaghe, inesatte. Alla fine eri un alberello di mandarini che ha già fruttato e ormai si aspetta la prossima stagione e invece no. Non parlerò più di te, te lo giuro. Non parlerò proprio. Nessuno saprà che sei come chi confessa di aver ammazzato qualcuno per coprire qualcun'altro anche se è innocente e quando confesserai
ti crederanno tutti.

martedì 31 agosto 2010

Le cose bagnate sono più belle di quelle asciutte. Come i pavimenti, le strade, i parcheggi e tutti i suoli, pubblici, privati, intimi. I nostri piedi, i piedi tuoi. La nostra pelle è impermeabile. Siamo impermeabili perché abbiamo paura.

domenica 22 agosto 2010

No, non sei mai esistito.


Mi siedo su questa panchina di metallo rovente con la vernice verde un po' scrostata, spalle al mare, una siepe di fianco, credo sia oleandro. L'erba intorno è verde, viva, umida. Sicuramente l'annaffiano (non piove da mesi). Non ti sento arrivare, ti vedo con la coda dell'occhio che ormai sei vicinissimo. Ti siedi accanto a me. Ci sono altre panchine, tutte vuote. Ma te ti siedi lì, accanto a me. Mi sposto di cinque centimetri -per istinto. Non ti guardo.
-cosa leggi? mi domandi.  
-il giornale di ieri. 
La tua voce potrebbe avere più o meno trent'anni.
-fumi?
-no

Tiri fuori dalla tasca laterale dei pantaloni blu scuri lunghi fino al ginocchio una busta di Old Holborn giallo, la tieni in mano, guardi per un po' davanti a te, come se ci fosse qualcosa da guardare, come se stesse succedendo qualcosa in questo pratino deserto. Poi la riponi nella stessa tasca laterale, senza aver fatto una sigaretta. Mi sforzo di sentire il tuo odore, sei amico o nemico? Allargo le narici, inspiro. Ma niente. Non sento niente. Sento odore di oleandro, che mi fa anche un po' schifo, sento odore di ferro, di salmastro. Ma non riesco a sentire l'odore dell'essere umano che sei. Con la scusa di recuperare una ciabatta mi allontano di altri cinque centrimetri.
-sei di queste parti?
-più o meno.

Abbasso lo sguardo e vedo che non hai scarpe né ciabatte. I piedi sporchi di chi cammina spesso scalzo. Potremmo mai allearci, io e te? Cosa ci racconteremmo se andassimo a mangiare un falafel insieme domani sera? Cosa mi regaleresti per il mio compleanno? Sospiro, non ti guardo. Chiudo il giornale e lo ripiego. Forse dovrei dire qualcosa, ti aspetteresti questo, che dicessi -io vado, o qualcosa del genere. Non parlo. Non ti guardo. Non riesco a sentire il tuo odore. Passa un'ambulanza. Passa un cane che annusa per terra, piscia al lato della panchina di fronte. Passa un'ape, o forse una vespa, non fa rumore. Faccio finta di leggere sulla copertina del giornale ormai richiuso il titolo che s'intravede Scontro Bce-Bundesbank, le divisioni del governo tedesco favoriscono Mario Draghi. Ti pieghi in avanti per dare un'occhiata.


Sospiriamo. Sospiro prima io, poi te. Ancora non ti guardo. Non ho niente da dirti. Non voglio sapere da dove vieni, quanti anni hai, chi sei. Non voglio parlare della siccità, del governo Monti, dell'inquinamento, dell'effetto serra. Non voglio che tu mi chieda se fumo, cosa leggo e dove vivo. Mentre lo penso abbozzo un sorriso di circostanza. Ti guardo per un attimo. Ti alzi, ti stiracchi un po' e muovi qualche passo. Hai la schiena un po' incavata, un corpo magro, lo dice il vuoto che s'intuisce dentro alla camicia bianca leggermente bagnata di sudore che ora si allontana. Ti guardo camminare fino in fondo al vialetto, non ti volti. Neanche quando tossisco. Neanche per accennare un saluto. Ti guardo camminare fino a che la tua figura, ormai rimpicciolita, svolta a sinistra e allora non esisti più. E resto ferma lì, con il giornale in mano. Per un attimo mi chiedo se tu sia mai esistito. Per un attimo me lo domando, e poi ne sono certa: no, non sei mai esistito. Allora posso rimettere il giornale spiegazzato nella borsa, alzarmi, infilarmi le ciabatte, camminare come se stessi andando da qualche parte.

domenica 1 agosto 2010

Io parlavo di fare una scelta.


Questa non è una lettera d'amore. Questa non è neanche una lettera. In realtà questa non potrebbe essere nient'altro che una lettera d'amore. D'amore e di piccoli accorgimenti, tipo tappare la bottiglietta del disinfettante sennò evapora. Di lettere d'amore non abbiamo bisogno, ci diciamo, perché siamo troppo intelligenti, il disincanto, il cinismo, l'amore è un'illusione e altre constatazioni molto utili. Gli alberi sono molto più intelligenti di noi. Non parlano non si sorridono cortesemente e non guardano il telegiornale. Non s'innamorano non investono soldi in piccole imprese artigianali e industriali, non piangono. Gli alberi si preoccupano di solcare il cemento con le loro radici prima che il cemento li soffochi definitivamente. Fanno ombra alle macchine e non hanno paura dei vigili urbani. Credo che stiano bene anche da soli. E soprattutto non si spostano. Non scappano. Non sfuggono. Non si sottraggono. Gli alberi sono anche infinitamente più belli di noi. Anche solo per il semplice fatto che non hanno gli occhi. Gli alberi non scrivono lettere d'amore, gli alberi diventano lettere d'amore. Per questo crediamo di non averne bisogno. Poi ci fermiamo al semaforo e con lo sguardo perso nel vuoto ci accorgiamo che non c'è rimasto più niente di nostro. Ci hanno tolto tutto in cambio di tutto senza nemmeno chiederci quale tutto preferivamo. Tanto tempo fa credevo che le parole avessero un vero significato. Che esistesse qualcosa oltre le convenzioni. Ho creduto che i sofficini findus fossero davvero migliori di quelli coop, non fosse altro per il fatto che costavano il doppio. Ho creduto di essere immensamente fortunata. E ingrata. Poi ho guardato l'erba. E l'asfalto. I glicini e le tettoie di ferro battuto. Le aiuole le rotatorie e il verde urbano (il verde urbano dice molto della nostra capacità di autoconsolazione) ho guardato le reti le recinzioni le transenne le staccionate di legno bianco le ringhiere i muri i muretti e tutti i tipi di confine. Ho guardato i cavi dell'alta tensione e i parcheggi per le roulotte, i bar sul lungomare, i videocitofoni. Ho guardato i divieti di sosta carico e scarico rimozione forzata. Il simbolino del carro attrezzi, a scanso di equivoci. E ho pensato: e se dio esistesse?

martedì 13 luglio 2010

Tutto il resto è un regalo.


Vi ho creato per essere soli. Siete fatti per camminare a testa bassa sul ciglio della strada mentre le macchine vi passano accanto. Vi ho fatto soli, che nessuno si potesse accorgere di voi. Siete fatti per parlare con gli spigoli dei muri e con le piante e con le piastrelle della doccia e con gli amici immaginari. Vi ho concepito soli, che nessuno avesse voglia o tempo di abbracciarvi. Siete fatti per portare zaini pesanti e prendere treni regionali, per sentire il rumore dell’asfalto che si rompe mentre un fiore si fa un varco. Siete fatti per i menu business, per le monoporzioni. Vi ho voluto soli, incapaci di chiedere, incapaci di concedere. Siete fatti per leggere il giornale e ascoltare l’autoradio, per scegliervi un deodorante e fare scritte sui muri. Siete fatti per l’autodistruzione/l’autoironia/gli autoabbronzanti/l’autocontrollo/l’autostima/gli autoritratti. Vi ho progettato soli, lontanissimi, chiusi. Vi volevo così, delimitati, impermeabili, ipovedenti. Vi immaginavo così, innamorati, bisognosi, bugiardi, indifferenti, razzisti, impauriti, impauribili. Siete fatti per provare fastidio, insofferenza -siete fatti per i tornei di scherma, per le gare di sci- siete fatti per la pesca subacquea. Avete una predilezione inspiegabile per la distanza. Vi piacciono i disinfettanti e i cerotti, vi piacciono l’amuchina, gli antibatterici, le salviettine, i guanti per toccare la frutta. Vi ho voluto soli, incapaci di contaminazione, mancanti di cura ma pieni di giustificazioni. Assolutamente separati. Vi ho creato per essere acquirenti/assicurati/abbonati/clienti/contribuenti/elettori. Vi ho creato per essere soli. Tutto il resto è un regalo.

lunedì 5 luglio 2010

D'amore o di solitudine.


Preferiresti essere lasciato solo sotto il sole di mezzogiorno in piazza del Duomo a Firenze o sotto una pioggia snervante di fine inverno in un parcheggio della periferia di Ferrara? Preferiresti dover percorrere una lunga galleria in macchina o tanti piccoli tunnel in treno? Preferisci l'aria condizionata o i finestrini aperti? Vorresti morire d'amore o di solitudine? Ti ho chiesto se ti piacciono le castagne arrosto e lo so che a luglio è difficile rispondere. Ti ho chiesto se le nigeriane che ballano sulla statale 206 ti mettono allegria e lo so che ti sembra una domanda da non farsi. Ti vorrei anche chiedere come ti senti ora in questo preciso istante ma temo che non mi daresti una risposta convincente. Andiamo a mangiare un gelato, passeggiamo un po' in questa serata fin troppo estiva, parliamo di cose facili, parliamo di cose piccole, non stanchiamoci. Camminiamo piano, parliamo sotto voce, facciamo delle piccole risate, diciamoci solo cose superflue. Non leggiamo le insegne dei negozi, i cartelloni pubblicitari, i volantini, gli annunci, le targhe delle macchine, le scritte sui muri, i necrologi, non leggiamo nulla, non sforziamoci. Camminiamo piano come se fossimo in un universo parallelo, senza case, giardinetti, bollette, uffici postali, tabacchini. Camminiamo a caso, percorriamo i sensi unici all'incontrario e senza avere paura. Andiamo via da qui. Ma non lontanissimo. Aspettiamo l'alba, scommettiamo sul punto esatto in cui spunterà il sole, togliamoci la maglietta a maniche lunghe quando inizia a fare caldo, andiamo a letto e non svegliamoci finché non abbiamo fame. Cosa vorresti ora? Ora in questo preciso istante. Preferiresti un abbraccio o un frullato alla fragola con ghiaccio tritato? Preferiresti che cadesse il governo o una pioggia fresca? Dove vorresti morire? Come vorresti morire? Vorresti morire d'amore o di solitudine?

martedì 22 giugno 2010

Questione di tempo

Solo al presente so parlar d'amore.
M. Gualtieri



Le rose mi fanno paura, le prendi in mano e tutti i petali cadono in un colpo solo. Ti resta in mano questa specie di mozzicone di fiore, triste. Un secondo fa era qualcosa di quasi ancora profumato. Era. Per questo le rose non vanno prese in mano, vanno solo guardate, godute finché ci sono. Quando sono vive, ma già in agonia. Quando sono rose, ma già ricordi. Solo al presente si possono guardare le rose. Solo al presente si cammina, si canta, si fa. I fiori appassiscono, i panni stingono, i cd si rigano. Le batterie si scaricano, l'inchiostro delle penne si esaurisce, la benzina finisce. Finisce il caffè, la carta igienica, finiscono le sigarette. Siamo questione di tempo.

(Le rose mi fanno paura).

Le candele si consumano, le pagine dei libri ingialliscono, le facce invecchiano, i capelli diventano grigi (che belli, i capelli grigi). Il mare leviga i pezzi di vetro, le radici dei pini spaccano l'asfalto, l'erba cresce fra le mattonelle del pavimento dell'asilo, non lo so se è vero, ma io ho sempre voluto immaginare questa cosa. L'erba che da lì, dalle mattonelle dell'asilo, infesta tutto. Tutto che viene ricoperto d'erba e gli alberi crescono dentro alle case. Tutto cambia, potrebbe succedere anche questo, credo. Invece no, la gravità farà il suo dovere, ci renderà belli di rughe e seni cadenti, ma l'erba non ce la può fare. L'erba viene sempre tenuta sotto controllo, tagliata, fermata. Le siepi potate, i rami tagliati, i prati tosati, come le pecore. Giardinetti fioriti e discariche a cielo aperto. E quanto ci vorrà a smaltire i filtri delle sigarette buttati nell'erba con nonchalance, quanto ci vorrà a smaltire i milioni di cazzate che dice Emilio Fede, quanto cazzo ci vorrà a smaltire i gingle delle pubblicità degli anni 80, e degli anni 90...e di tutti gli anni fino a oggi. E chissà cosa scriverebbe John se fosse vivo oggi, cosa canterebbe, dove farebbe la spesa. E che faccia avrebbero Jim Morrison e Kurt Cobain, e come si vestirebbero, chi avrebbero votato. Cerchiamo di fermare il tempo registrando le canzoni e imbiancando le pareti, tingendoci i capelli e rifacendo i marciapiedi, indossando le magliette del Che e dei Beatles, mettendo fiori freschi ai semafori e i conservanti nelle merendine. Ma il libeccio incurverà i tronchi dei pini, perderemo dei libri e delle fotografie, ci dimenticheremo dei compleanni e dei numeri di telefono, ci dimenticheremo anche i nomi di persone a cui abbiamo voluto bene. E il petrolio finirà, le coste verranno erose, le suole delle Converse si consumeranno molto prima.

Siamo questione di tempo, come i fiori.



( Però sarebbe bello che le foreste restassero foreste, che il mare restasse mare. )

lunedì 7 giugno 2010

Neruda confessa che ha vissuto.





Non è una gara, no che non lo è, me lo sono pure tatuata sul braccio per ricordarmelo, eppure ho l'impressione di perdere sempre. Se Banksy mi vedesse mi vergognerei tantissimo, sdraiata sul letto con delle frasi scarsamente interessanti da tradurre e l'ansia da prestazione per un esame che non c'entra un cazzo con la vita. Intanto le navi vengono assalite e le intercettazioni telefoniche stanno per essere fortemente limitate, meno male, così non sentiranno le cose stupidissime che ti dico quando mi chiami, tipo che i prodotti Fiorfiore coop hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo, che l'autobus non arriva mai in orario, che ti voglio bene, che mi sento persa, che Bertolaso è un pezzo di merda, che mi piacerebbe andare a mangiare al giapponese stasera, che ho fatto un cd che credo non ti piacerà, che non ci sono più le mezze stagioni. E poi ci diciamo che sarebbe bello vedere il mare dalla mia finestra anche se siamo a Firenze. Che dovremmo avere più fiducia in noi. Porto fuori il cane, stanno uccidendo la Democrazia e altre frasi di circostanza. Vorrei poterti anche dire che ho fatto qualcosa di molto bello per te, ma ho solo lavato dei bicchieri che avevi lasciato nell'acquaio e ti ho lasciato un bigliettino con scritto "ci vediamo stasera". E vorrei poterti dire che hai lasciato la valigetta dei colori, delle tinte, delle seppie e delle terre, dei tramonti e delle città, dei vrum, dei vrap!, dei ti amo e quando te ne vai, delle auto ruggenti e delle gomme per cancellare su da me, per sentirmi in un fumetto di Pazienza, ma ti sei portato via tutto. Ascolto Lucio Dalla mentre aspetto che passi il caffè, guardo nel vuoto e mi vengono in mente titoli di giornale che non riesco a collegare alla realtà, come se fossero parole senza senso, slogan, come se non ci fosse più differenza fra Israele alla deriva, Suicidi in fabbrica e Scegli anche tu il made in Italy. Mi si accavallano nella testa la faccia di Umberto Bossi e quella di Naomi Campbell, le kefiah bianche e rosse e le mutande di pelle nera con le borchie di Giorgio Armani, o forse di Cavalli, chi lo sa, il sorriso a trentasei denti bianchi sbiancati da non so quale dentifricio e la faccia gonfia di Maradona. Niente di tutto questo mi sembra reale. E non so perchè invece mi sembrano reali gli occhiali insanguinati di John Lennon e penso a lui che muore in ospedale e alla faccia di Yoko, ai capelli di Yoko, alle mani di Yoko. Chissà com'era vestita quel giorno, di che colore aveva le scarpe. Io non voglio che tu muoia. Ora ti telefono e ti chiedo se sei vivo e mi basterà una qualsiasi risposta per piangere un po' dalla felicità, deglutire, chiedermi se ho la coscienza apposto e rispondermi comunque di sì, sorridere con gli occhi tristi e tornare a tradurre frasi dalla dubbia utilità. Questo è fare del mio meglio, per ora e qui. Neruda confessa che ha vissuto. Io ci sto provando.

lunedì 31 maggio 2010

Mamma sono gay


Il libero arbitrio è molto relativo. Se fossi un piccione non me ne starei alla stazione di Pontedera o in piazza S.Marco, se avessi le ali me ne andrei in un posto bellissimo lontano dagli autobus, dai Mc Donald e dai kebebbari. E d'altra parte, se fossi un piombinese non lavorerei alle acciaierie. Chissà perché ci sembra che gli altri abbiano sempre più opportunità di noi di essere felici. E che non le sfruttino. Io personalmente credo di aver sfruttato al peggio le mie occasioni giacché da quando ho scoperto lo streaming non ho ancora guardato neanche un film di Antonioni. Ed ho la bicicletta ma continuo ad andare in centro in autobus e non ho neppure scelto il piano tariffario più conveniente, così non posso dire frasi tipo ho i messaggi gratis oppure usa il mio che pago solo lo scatto alla risposta oppure chiamami tu così mi ricarichi. Io quando telefono spero sempre che non mi risponda nessuno, così poi vedono la chiamata e mi richiamano. Però l'intenzione c'era, insomma, almeno ho rischiato. E se mi rispondono o se mi richiamano spero comunque che la chiamata sia corta perché le radiazioni fanno male al cervello. Una delle cose più affascinanti della vita è l'illusione di poter scegliere. Scegliere un cibo sano, per esempio. Una banca etica. La benzina. L'8 per mille. Il parrucchiere di fiducia. Quest'anno va di moda il blu. In qualsiasi negozietto di abbigliamento (dal cinese a Zara passando per Miu Miu) puoi scegliere se comprarti un maglione blu oppure un giacchettino a righe bianche e blu o anche una gonnellina blu a pallini blu chiari. Ma tu ti metti la maglietta arancione dell'anno scorso con scritto mamma sono gay e ti senti libero. Libero di poter scegliere nonostante la moda. Nonostante le compagnie petrolifere. Nonostante le discriminazioni. Nonostante le videocamere a circuito chiuso e le zone a traffico limitato. Nonostante le basi militari americane, il Vaticano e Confindustria. Gaber lo diceva così: libertà è partecipazione, ma l'importante è diventato vincere, non partecipare. E il Piccolo Principe mi sta fondamentalmente sul cazzo ma lo stimo. Perché se avesse avuto 53 minuti, avrebbe camminato adagio verso una fontana.

lunedì 24 maggio 2010

Datemi un muro, così posso scappare.

Give me a wall so I can escape, c'era scritto sul muro di Berlino, ma io non avevo la macchina fotografica. E mentre tornavo da una Ferrara piena di neve e parcheggi ghiacciati verso il mare, l'aria sapeva di primavera anche se era gennaio e qualcosa mi diceva che non stavo esistendo, perché non ne avevo le prove. Nessuno ci avrebbe creduto che c'era il sole. E tu non sai neanche cosa si vede dalla finestra della camera dei miei genitori, anche se forse te ne ho parlato. E non sai neanche cosa vuol dire guardare il soffitto di camera mia alle 5 di mattina facendo finta che sia un cielo senza stelle. E non sai cosa si vede dal finestrino dell'aereo mentre atterra su Madrid, forse anche te avresti scambiato gli alberi per dei tori al pascolo o forse no perché sei troppo più intelligente di me. E come farò, pensavo, a convincerli che il paesaggio era bello se faceva schifo anche a me. Una specie di deserto ma più brutto, una distesa di terra secca di un colore senza nome. Con dei brutti cespugli e degli animali secchi e assetati qua e là. E vi volevo raccontare senza sembrare esagerata di quante cazzo di piscine si vedevano dall'alto. Quasi una per ogni casa, di tutte le forme, tutte celesti e tutte riflettevano il sole. Settantamila piscine e un fiume in secca. E il mare lontanissimo, tipo uno scherzo. Se avessi avuto la macchina fotografica ora vi facevo vedere quel caldo lì, quella mancanza di quasi tutto, quella specie di desolazione non abbastanza desolata. E vi facevo vedere il pavimento del bagno dell'asilo di Marina che me lo ricordo benissimo perché lo guardavo mentre facevo la pipì. Com'erano diversi i colori negli anni 80. E vi farei sentire l'odore del cherosene e dei cuscini del divano impregnati di fumo di Multifilter rosse (chissà perché anche le cose schifose quando diventano un ricordo lontano sembrano così belle che ti verrebbe quasi anche un po' di nostalgia). Però mi dico che basterebbe viverla la realtà. Basta con questo te la devo raccontare. Basta documentare e riprodurre. Basta ricordare. Basta condividere questa intimità nella speranza che sia universale. ... Eppure avrei voglia di farti sentire queste campane registrate di Bagno a Ripoli, che fanno la stessa musichetta di quelle di Rosignano e di tutte le campane elettroniche di questa Italia di merda, con il sottofondo delle bestemmie della badante russa del piano di sotto, del camion della spazzatura e degli uccellini che non gliene frega nulla, beati loro.

giovedì 20 maggio 2010

Motion picture soundtrack


Anche se so che mi prenderai per il culo ho fatto un cd con le stesse quindici canzoni che ascolto da non so più quanto tempo, le stesse quindici canzoni che canto in playback sulla FiPiLi mentre torno a casa dopo una settimana difficile che se non sto attenta mi dimentico di uscire a Lavoria e allora mi tocca prendere l'autostrada ma non voglio spendere 3 euro e 60. Le stesse quindici canzoni che ascolto a volume 31 mentre percorro tutte le piste ciclabili di Firenze per non sentire i rumori del mondo che mi vive intorno. Perché il mondo che mi vive intorno è troppo violento. Giacché chissà chi è il regista di questo film di fantascienza almeno la colonna sonora me la posso scegliere io, da sola. La colonna sonora dei miei dormiveglia, degli spostamenti e delle immobilità, dei pensieri d'amore, degli incontri e dei ritrovamenti, dei ritardi, delle attese, dei viaggi in ascensore, degli infiniti tentativi, delle risate, della fatica. Quando mi verrai a prendere in macchina probabilmente avrai un sacco di cose da raccontarmi ma io ti chiederò se posso mettere un cd perché anche le tue parole mi sembreranno troppo violente, perché se la realtà è una io ne voglio tante, perché sono qui ora ma potrei essere ovunque, ma è precisamente lì che voglio stare, accanto a te. Quando inizierà la prima canzone mi riderai in faccia ma continuerai a volermi bene, perché io sono così e lo sappiamo entrambi che non possiamo farci nulla. Quando inizierà la seconda canzone riderai ancora più forte e ormai già sappiamo che non ci sarà niente di nuovo, che siamo così prevedibili, che non ci conforta niente, nemmeno le parole che sappiamo a memoria, nemmeno le strade che potremmo percorrere a occhi chiusi, nemmeno gli odori che ti riconoscerei fra centomila altri esseri umani. Non ci conforta niente, nemmeno la voce di Syd Barrett, nemmeno l'assolo di chitarra di Jimmy Page, nemmeno le prime note di pianoforte di Perfect day, i sospiri di Jeff Buckley. E siamo sempre più soli, che DeAndré ci ha abbandonato, Gaber ci ha abbandonato, Rino Gaetano ci ha abbandonato e anche Giovanni Lindo Ferretti ci ha abbandonato. E siamo sempre più persi, che senza il navigatore satellitare abbiamo paura di non saper tornare a casa e siamo sempre più ridicoli: hai spento il telefono prima di andare a dormire ed ho creduto di essere morta per sempre.

martedì 18 maggio 2010


...ma i sogni belli
non si avverano mai.

lunedì 17 maggio 2010

domenica 16 maggio 2010

Il mondo

No, stanotte amore non ho più pensato a te, ho aperto gli occhi ed ero in una stanza che non riconoscevo. Ho aperto gli occhi per guardare intorno a me. Ma intorno a me non c'era nessuno ed il mondo forse non girava neppure, perché c'era un silenzio così totale, così profondo, così vuoto e perfetto che se il mondo avesse girato come sempre me ne sarei accorta, avrebbe fatto almeno un cigolio, uno scricchiolio, un fruscio. Invece era tutto immobile e buio e ovattato e se non fosse stato maggio avrei detto che fuori c'era la neve. E chissà come faceva il mondo nello spazio senza fine a stare così immobile, a non accorgersi degli amori appena nati e degli amori già finiti, a non chiedersi che farsene della gioia e del dolore della gente intorno a me. E' vero, soltanto adesso io lo guardavo, mi perdevo nel suo silenzio e non ero niente, niente accanto a lui. Io non ero niente. Accanto a lui. Non ero niente. Niente. Non è vero che il mondo non si è fermato mai un momento, stanotte si è fermato, io sono sicura che si è fermato, si è fermato per un'ora, almeno, si è fermato per tutta la notte, si è fermato per sempre. Io pensavo, la notte insegue sempre il giorno, ed il giorno verrà. Io pensavo, vieni giorno, ti prego. Vieni.

Ma il giorno
non è venuto.

mercoledì 12 maggio 2010

Questo essere sempre altrove

[Facciamo domande per necessità. Rispondiamo per sopravvivere. procediamo per tentativi ed errori. abbiamo sospeso il pensiero che esista qualcosa al di fuori di noi.]

Lei.
Nell’esatto momento in cui si rese conto che sarebbe stato meglio restare se ne era già andata. Da qualche parte. Non temere, si ripeteva. Non avere paura. Puoi crederci. Anche i sedili della sua macchina saranno abbastanza comodi. Anche nella sua dispensa ci saranno delle tisane alla rosa canina, ai frutti rossi, al tiglio, alla menta. Anche nella sua libreria ci sarà qualche libro interessante. Invece no. E continuava a non capire chi dove cosa quando. E continuava a potare le siepi e a cogliere le margherite. E a comprare degli adesivi di feltro da mettere sotto le gambe delle sedie perché non facessero rumore. E continuava a fare la raccolta differenziata ma non sapeva dove mettere il sacchetto dei biscotti perché sembrava di carta, ma forse non lo era. E continuava a guardare nella cassetta della posta mentre rientrava, ma c’erano solo delle bollette e delle pubblicità. Il suo alito odorava dello stesso odore di certe mattine d’inverno, quando il sole c’è. Ma non si vede.

Lui.
A volte avrebbe voluto morire pur di non averla accanto. A volte avrebbe voluto morire e basta. A volte avrebbe voluto trovarla attraente. Pensava alle sue rughe e alle occhiaie di chi piange in attesa come della sentenza finale. Aveva più paura di notte che di giorno. Di notte più che di giorno. Non aveva mai sognato di farle male. In nessun modo possibile. Eppure aveva dei sogni da raccontarle. Tipo quello in cui la casa enorme dei suoi genitori era un negozio di bambole antiche pieno di polvere e in giardino c’era il sole ma le piante erano tutte bagnate.

E magari mentre glielo raccontava lei non lo ascoltava nemmeno e pensava ai suoi collages, alle bottiglie vuote di ceres sul davanzale della finestra che se faceva vento potevano cadere giù, e ammazzare qualcuno. Questo essere sempre altrove. Una volta mentre lui le parlava del suo lavoro, dei suoi dubbi esistenziali, delle crisi, dei temporali e dei vuoti d'aria lei pensava a Philippe Petit, anzi fingeva di essere Philippe Petit, anzi era Philippe Petit e la striscia laterale della strada di casa sua era una corda tesa sospesa a mille metri da terra tra Firenze e qualche posto lontanissimo e se riusciva a starci in equilibrio e percorrerla tutta sarebbe riuscita una volta per tutte a scappare. Lui era stato onesto, una volta. Ma di nascosto. Lei gli aveva raccontato tantissime bugie e poi se ne era pentita, o forse no.

-Ora puoi dirmi, per favore, quanti alberi ci sono in un bosco?
-No.
-Ti prego.

Eppure li aveva contati tutti un giorno, davvero. Ma era solo. E aveva anche questo segreto.

- Mi abbandonerai?
- Non abbandonarmi.

martedì 11 maggio 2010

Notte

Quando ero piccola credevo che



di notte fosse notte in tutto il mondo

lunedì 10 maggio 2010

Mais qui est en faute? Est-ce moi?

Qualcuno mi dica di chi è la colpa. Se la sera mentre andava in bicicletta in piazza Santa Croce con la sicurezza di non incontrarlo ed era già primavera c’era l’odore forte, molto forte dei glicini davanti al Cpa. Se lo aspettava in cima alle scale sapendo che non sarebbe venuto ed erano già le sette di sera e Firenze non era più bella di sempre, però sembrava più bella. Più bella. Più bella di sempre. Se quando faceva la spesa comprava non una ma due moretti, che non si sa mai. Se si era inventata una storia nemmeno troppo divertente per crederci davvero, anche se lo sapeva che era inventata, ma lei ci credeva, quasi. Se l’aveva guardato di sfuggita, solo di sfuggita e lui non si era nemmeno girato ma lei era sicura di averlo visto girarsi -ma non si era girato- e lei avrebbe giurato lo stesso che lui si era girato e l’aveva guardata. Se mentre passava da un angolo all’altro della stanza doveva passare proprio di lì, proprio di lì, tra il tavolo e l’acquaio, proprio di lì, e doveva sentire per caso l’odore della sua felpa, per caso, davvero, non si era neanche avvicinata per annusarla. Se aveva immaginato di fargli una carezza, solo una carezza. Mais qui est en faute? Est–ce moi? Siamo troppo intelligenti per restare intrappolati in qualche ragnatela di consuetudini e perbenismo ipocrita, ma non te lo dirò mai, né piano, né pianissimo.

lunedì 3 maggio 2010

I segni della stanchezza

Veramente non saprei dire se sono cambiate le stanze o sono cambiate le persone dentro le stanze o sono cambiate le persone dentro e basta. Io me lo ricordo. Stavamo tutto il giorno a percorrere le stesse piste ma vincevo sempre io.
Non avevamo mai fame ma in frigo c’erano sempre pizze surgelate carne surgelata prosciutto sottovuoto moretti da 66 estathè e latte ad alta digeribilità. Eravamo stanchi. (Magari una notte in un parcheggio semideserto è successo che lui l’ha guardata ed ha capito). Io lo sapevo, sarebbe stato meglio non riabbracciarti subito, ma credevo davvero che il mondo si potesse cambiare
da lì dentro, da quella macchina coi vetri appannati, io e te. Quella sera ero distrutta, facevo la doccia e ormai mi era passata la fame. Mi sono addormentata come sempre ma sapevo che loro sarebbero tornati, non ho spento la luce perché volevo svegliarmi ogni cinque minuti e vedere tutto, e cercare di mandarti affanculo ma non riuscire a liberarmi dell’odore di sigaretta delle sue dita, come un taglio che non cicatrizza, una ferita che non si rimargina e tutto questo è molto importante, ma e
un segreto, un segreto che ho potuto condividere solo con gli alberi della pineta e con il mio cuscino e con tutto ciò che ho bagnato di lacrime. Però mi avete visto anche ridere. (Magari un pomeriggio tornando dal mare è successo che lei lo ha guardato e ha deciso. Anche se le piaceva come suonava il pianoforte, le dita insicure, la schiena incurvata, il respiro trattenuto).
La mattina dopo stavo male, tanto male, così male che mi sembrava di stare benissimo, così stanca che avrei potuto arrivare a corsa da lui che ormai era così lontano. Ma ho deciso di non correre e di non sognare e di non sentire che la mia stanza non sarebbe stata più la stessa, quella stanza dove dovevo dormire ancora tante notti. E ho deciso anche di non dire mai più te lo giuro.
Di fare ancora una doccia,
di lavare via dal corpo i segni delle risate
e della stanchezza.

domenica 25 aprile 2010

Giovanni Lindo, dicci che è stato uno scherzo.

Voglio credere che Giovanni Lindo Ferretti sia stato rapito dagli alieni qualche anno fa. E questo che c'è ora è una specie di surrogato. Una costruzione. Voglio credere che questo che dice "Meno-male-che-c'è-la-Lega-Nord" non sia lo stesso che amavo mentre cantava Dammi una mano dammi una mano ad incendiare il piano padano. Voglio immaginare che un giorno tipo oggi fa una risata e dice: -ma ci avevate creduto davvero? Che io votassi la Lega. L'avete ritenuto plausibile? E' stato uno scherzo, imbecilli. E tutti possiamo tirare un respiro di sollievo e andare a cercare in qualche scatolone, o nelle tasche laterali degli sportelli, o nei cassetti dei comodini delle nostre camere a casa dei nostri genitori il cd originale, rigorosamente originale Affinità e Divergenze fra il Compagno Togliatti e Noi e riascoltare Curami senza vergognarci per lui, riascoltarla con un senso di Liberazione, proprio oggi, proprio questo 25 aprile. Si può anche cucinare canticchiando Eri così carino eri così carino, proprio un amore di ragazzino e provare una gratitudine immensa e sincera per chi cantava Raffina i sentimenti trasgredisci i rituali vali molto di più di un aumento economico meriti molto di più di un posto garantito che non avrai, che non avrai, che non avrai, e finalmente ridare un senso alla parola fedele, sempre che ce l'abbia un senso, ma io voglio credere di sì. E gridare dal finestrino della Polo Allah è grande Gheddafi è il suo profeta e ridere, ridere, ridere. Ridere come nel 2001 e come nel 2002, quando si ascoltava quella voce col groppo alla gola, PRODUCI CONSUMA CREPA, sbattiti, fatti, crepa, cotonati i capelli, riempiti di borchie, rompiti le balle, lavati i capelli, CREPA CREPA CREPA. E sentirsi finalmente diciottenni un'altra volta e poterlo dire con quelle parole Va meglio, va peggio, non so dire, non lo so. La prima volta fa sempre male. La prima volta ti fa tremare. E crederci, crederci che non era vero niente e pensare a quanto è stato stronzo, il caro Giovanni Lindo, che stronzo a prenderci per il culo per così tanto tempo. Ma questo lo possiamo pensare comunque. Che stronzo. A prenderci per il culo per così tanto tempo. Giovanni, dicci che è stato uno scherzo, ti prego.

lunedì 19 aprile 2010

Esperimento

Martedì 20 aprile alle ore 20.00 presso l'Ospitale delle Rifiorenze (piazza del Carmine, Firenze):
-Nessuno presenterà Appunti per un funerale.
-Nessuno parlerà di Appunti per un funerale.
-Nessuno risponderà a delle domande su Appunti per un funerale.

Appunti per un funerale regalerà una piccola parte di sé
a chi avrà voglia di stare al gioco.

martedì 30 marzo 2010

La prima frase verrà da sola

“Fatevi portare di che scrivere, dopo esservi sistemato nel luogo che vi sembra più favorevole alla concentrazione del vostro spirito in sé stesso. Ponetevi nello stato più passivo, o ricettivo, che potete [...] Scrivete rapidamente senza un soggetto prestabilito, tanto in fretta da non trattenervi, da non avere la tentazione di rileggere. La prima frase verrà da sola”
Andrè Breton (Manifesto del surrealismo)
La prima frase verrà da sola e probabilmente non sarà abbastanza violenta. La seconda frase non le correrà in aiuto. Dalla terza in poi possiamo cominciare ad incazzarci un po' perché il cielo è grigio pesante e la mia maglietta è made in Bangladesh, perché ti vengono le mestruazioni quando meno te l'aspetti e anche su Controradio ci sono le pubblicità, ma progresso. Vengo a sapere da Facebook che Ale Bi è parecchio arrabbiato, che Andrea Verdura è ora single, che in un ostello di Aveiro c'è una festa domani sera e mi hanno invitata, che Mara Carfagna ha 25.400 fan. No dai, come sempre mi dico, va tutto bene -in fondo- in fondo è solo il giorno dopo del giorno in cui la Lega (-perché lo scrivi con la lettera maiuscola? -Perché è un nome proprio. -Ah, è vero) in cui la Lega fa il pieno storico di voti, in cui la Polverini vince nel Lazio, è solo un giorno dopo come tanti altri. Un giorno perfetto per non uscire a vedere cosa succederebbe se. Un giorno perfetto per restare a gambe incrociate con il Mac sotto le dita e la coperta Ikea sotto il culo, con le Clarks in fondo al letto che quando vai a fare la spesa alla Coop ti puoi sentire in una canzone di Giorgio Gaber, con dieci libri iniziati e mai finiti sul comodino, Erri De Luca, Pessoa, Orwell in tutte le lingue, Zamjatin perché un russo ci vuole, Alvaro per sentirsi un po' d'élite, Gurdjieff che comunque ci fai sempre la tua porca figura. Misurarsi con la propria ignoranza ed autoassolversi. Avere voglia di vergognarsi di meno. Essersi dimenticati di avere un corpo. Pensare e non agire. Avere anche poca voglia di pensare. E comunque da casa.

Cosa pensi mentre un soldato americano arrivato ieri dall'Iraq ti offre una birra e poi un'altra e un'altra ancora in un ristorante persiano di Firenze mentre sai che se fosse morto avresti pensato -gli sta bene cazzo, uno meno, cazzo- e sei lì con queste birre che vuole pagare lui a tutti i costi, perché è una noche buena, perché è in vacanza, perché vuole cambiare lavoro? Non è morto, è vivo, sta ad un tavolino e parla spagnolo. Si dice tutti delle cazzate, eeeeh. Birra, ridere, gli americani in Iraq. Un brindisi, offre lui, Guantanamo. Non è morto, è vivo, sta ad un tavolino e parla spagnolo.
Banksy Pictures, Images and Photos

mercoledì 24 marzo 2010

Lavori in corso

Appunti per un funerale uscirà, concretamente, verso la metà di aprile. In un giorno tiepido in cui usciranno anche dei fiori, delle api, della gente. E mentre ci penso mi viene voglia di fumare una sigaretta anche se ne ho appena spenta una e di solito la mattina non fumo e penso alle parole scritte sulla carta, che te le puoi portare dietro e leggerle in treno, mentre fai la fila in segreteria, in bagno, alla posta o sulla panchina di un parco con l'erba tagliata male, i giochini con le svastiche disegnate e qualche uccellino ancora vivo.
Banksy Pictures, Images and Photos

domenica 21 marzo 2010

QUESTO TENTATIVO QUASI RIUSCITO

Da quando è iniziato il viaggio nella direzione opposta ho visto morire la maggior parte delle cose che mi avevano addestrato a ritenere indiscutibili. Ho visto morire il senso, la grammatica, la consequenzialità degli eventi. Ma non soltanto. Ho visto morire l'illusione, l'innocenza, il pudore. Ho visto morire tanta gente anche, morire di fame, di fatica, di freddo ma spesso anche di noia. Ho visto morire la voglia di resistere e soprattutto la dignità. Sono morti effettive, definitive, inevitabili. Di alcune ho pianto, per altre ho goduto (senza bisogno di puntualizzare). Questi appunti in qualche modo c'entrano con quelle morti. Sono appunti scritti senza inchiostro, senza penna, senza quaderno e a volte anche senza punteggiatura. Scritti con il portatile in una camera d’albergo, su un divano di pelle, in treno, in bagno, sul letto, a Firenze, a Ferrara, al bar. Normalmente di fretta e quasi sempre col groppo alla gola. Appunti per un funerale è la parte vulnerabile di me.
Ogni riferimento a cose fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.

sabato 16 gennaio 2010

Dormiamo

L. –dormi?
A. -no
L. –a cosa pensi ?
A. –tu? A cosa pensi?
L. –te l’ho chiesto prima io.
A. silenzio
L. –io pensavo all’Inquisizione, ai roghi, alle torture medievali…
A. -ah
L. –e poi pensavo a quelle ragazze che nell’800 si innamoravano e poi le costringevano a farsi suore e magari il tipo di cui erano innamorate lo facevano sposare alla sorella…
A. –io pensavo che si sta bene anche se fuori è freddissimo
L. –e poi pensavo ai macchinari per le torture, tipo quelle macchine per schiacciare le teste…e alle sedie elettriche, e all’elettroshock, e pensavo che qualcuno li ha costruiti, qualcuno ci accompagnava la gente, qualcuno ce la sistemava.
A. –hai freddo?
L. –e poi pensavo a quanta fantasia, quanta creatività c’è voluta per inventare delle cose tipo infilare la testa della gente in una gabbia piena di topi…
A. –vuoi una tisana?
L. –no, grazie. Poi, sai cosa pensavo? Pensavo che cazzo, questi erano umani, come noi, e poi dopo aver infilato un palo di legno nel culo a qualche eretico andavano alla locanda a bere un buon bicchiere di vino, oppure questi psichiatri che negli anni 70 friggevano i cervelli dei matti e anche della gente normale con l’elettroshok, poi se ne andavano a prendere i figli a scuola o all’esselunga a fare la spesa ma una cosa del genere l’ha già pensata Annah Harendt…
A. –Ma lo sai che...? No, niente.
L. –ma secondo te negli anni 70 c’era già l’esselunga?
A. –la coop di sicuro.
L. –ma l’esselunga?
A. –…questa cosa dei pali nel culo non me la dovevi dire.
L. –dai, dormiamo.
A. silenzio
L. –‘notte amore
A silenzio
L. –ah, un’altra cosa. Ma dormi?
A. -no
L. –vorrei sognare Alda Merini stanotte.
A silenzio
L. ora dormiamo, davvero.

venerdì 15 gennaio 2010

Silenzio

Tutti i venerdì mattina andava a fare la spesa per lui. Orzo solubile, Krumiri, broccoli, farina di castagne, un panino al latte, miele, citrosodina, acqua di rose e vino rosso da tavola. Più o meno sempre le stesse cose. Parcheggiava la macchina sotto casa sua, una palazzina costruita negli anni ’80 dietro alla centrale elettrica e vicino al mare. Apriva lo sportello, scendeva, scaricava le borse di plastica e lo richiudeva mentre i tralicci della corrente friggevano e qualche uccellino ancora vivo cantava. Dopo aver attraversato i cinque metri di vialetto di mattoncini infilava la chiave nella serratura del portone e aprendolo sentiva l’odore di minestra della vecchietta del secondo piano e la voce di Luca Giurato a tutto volume, un volume talmente alto come solo le persone quasi sorde possono sopportare. E lui era quasi sordo, aveva 88 anni ed era quasi solo al mondo, tutte le mattine guardava Uno Mattina e le giornate non passavano mai ma il venerdì era un giorno felice, perché lei arrivava verso le 10 con le borse della spesa, preparava una tazza di carcadè e si sedeva sulla sua poltrona a dondolo a sorseggiarlo. Il dialogo tra loro era più o meno come la spesa, sempre uguale. –come stai? –eh? –come stai? –ah, bene, si va avanti… -hai bisogno che ti prenda qualcosa di particolare al supermercato o in farmacia? –come? –dicevo,… hai bisogno di qualcosa in particolare? –sì … -di cosa? –la farina di castagne, mi servirebbe la farina di castagne.
La dispensa era piena di farina di castagne, ma anche se gli avesse detto –guarda, che la dispensa è piena di farina di castagne, lui avrebbe risposto –sì, mi raccomando, comprami la farina di castagne.
E così lei ogni volta che andava al supermercato prendeva tutto quello che a lui serviva: orzo solubile, Krumiri, broccoli…e naturalmente, farina di castagne.
Un venerdì come tutti gli altri uscì dall’Esselunga con le borse della spesa nella mano sinistra e la chiave della machina nella mano destra, i capelli leggermente spettinati e la sensazione di aver dimenticato qualcosa. Dopo essere salita in macchina osservò per un momento la confezione dell’orzo solubile che si vedeva in trasparenza dalla plastica della busta, notò che anche se la marca era la stessa, era cambiata l’etichetta. Ora era rossa e marrone e c’erano una tazza e una spiga sotto la scritta. Poi mise in moto e accese l’autoradio e siccome il tragitto era abbastanza corto le capitò d’ascoltare solo una canzone di Gino Paoli di cui in quel momento non ricordava il titolo che faceva –Quando ti ho vista arrivare bella così come sei non mi sembrava possibile che, tra tanta gente che tu ti accorgessi di me …. Parcheggiò davanti al vialetto, aprì lo sportello, scese, scaricò le borse di plastica e lo richiuse. I tralicci friggevano, era inverno e canticchiava solo un uccellino. Attraversò il vialetto, infilò la chiave nella serratura e sentì l’odore di minestra. Solo l’odore di minestra. Salì a corsa una rampa di scale e mezzo e a sei scalini dal pianerottolo si fermò di colpo. La faccia seria, gli occhi aperti, le borse quasi sollevate, un perfetto fermo immagine. Non sentì la voce di Luca Giurato, e neanche il gingle di qualche pubblicità. Non sentì nulla. I tralicci della corrente smisero di friggere. L’uccellino era volato via senza fare rumore. Passarono un paio di macchine nel frattempo e neanche quelle fecero rumore. Non sentiva il suo respiro affannoso, non sentiva i passi della vecchietta del piano di sopra che apparecchiava la tavola, non sentiva la suoneria del suo telefono che stava squillando, non sentiva i singhiozzi di qualcuno lontano, molto lontano da lì, non sentì neppure suonare le campane. Eppure erano le dieci, e alle dieci suonano sempre le campane, dappertutto. Guardò la porta, guardò i sei scalini che mancavano al pianerottolo, guardò le sue scarpe, Lacoste nere, di pelle. In silenzio si voltò, in silenzio e molto lentamente, molto lentamente, quasi al rallentatore scese le scale, in silenzio salì in macchina, non accese l’autoradio, guidò fino a casa, in silenzio disfece le borse della spesa, in silenzio si accorse che aveva dimenticato la farina di castagne. In silenzio, gli chiese scusa. E per non fare rumore, non pianse.

giovedì 14 gennaio 2010

Facciamo ancora finta di nulla

Ho visto uomini vestiti con tute arancioni e sacchi neri coprire le loro facce. Ho visto schiene negre piegate tutte uguali tutte uguali. Ho visto schiene piegate. E sudate.
Ho visto alla televisione che arrivavano via mare. Erano parecchi sudici e magri. Arrivavano via mare annunciati da una giornalista con i capelli lisci biondi e sicuramente profumati. Con il rossetto e molto scollata. Arrivavano con il peschereccio di Capitan Findus. Ho visto questi negri che arrivavano nei nostri stabilimenti balneari convinti che una crostatina del mulino sarebbe toccata anche a loro. O un cono bigusto. Uno yogurt magro. E poi c’era la marmotta che confezionava la cioccolata e ad un certo punto hanno sparato tutti e la giornalista parlava con un tono surreale sbattendo gli occhi con quelle ciglia lunghe e poi hanno mandato un servizio sul caffè che iniziava così: uno studio americano rivela che.
Ed in realtà io continuavo a pensare che anche oggi il telefono non ha squillato. E lui dove sarà. E ho ancora un manuale intero da studiare. E devo fare benzina che sono in riserva da tre giorni e mia nonna mi ha dato 50 euro però ci devo anche ricaricare il telefono. Ma non squilla. Forse ha frainteso. Io avevo gli occhi chiusi e piangevo e lui mi ha baciata e non capiva e io ho continuato a piangere e lui ha continuato a non capire.

Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla. Facciamo ancora finta di nulla.

venerdì 8 gennaio 2010

sabato 2 gennaio 2010

Definire è limtare

Firenze è più vuota, più nera e più calda del previsto stasera.
Ma trovo lo stesso uno spiraglio d'aria, sebbene breve e inefficace.
E trovo lo stesso un modo per abitare questa casa deserta.
E trovo lo stesso un motivo per essere certa di essere felice.
Felice a tutti i costi.
Si erano innamorati una sera di giugno che l'aria era calda così come ora.
Si erano innamorati per sbaglio e con le facce perplesse.
Si erano innamorati ma forse no, avevano letto le istruzioni sbadatamente.
Si erano detti parole difficilmente ritrattabili, quando sarebbero bastati gli occhi.
Si amarono su un divano di pelle in un appartamento affollato.
Si amarono di nascosto sul marciapiede
di una città che non conoscevano e che non riuscirono neanche a scoprire insieme.
Lui regalò a lei un quadratino celeste staccato dalle pareti di un bagno pubblico.
Ogni tanto pensavano le stesse cose.
Ogni tanto emanavano lo stesso cattivo odore.
Si erano innamorati con le magliette a maniche corte
-ma anche quell'anno doveva arrivare l'inverno.
Arrivò la prima pioggia e li colse impreparati. Arrivarono le notti
sotto zero e la mattina le pozzanghere erano ghiacciate.
Ghiacciate, dure. E scivolose.
Ora si potrebbe anche piangere un po',
ma in questo paese di merda non si piange, anzi non si piange più.
Si lasciarono una sera d'estate che
l'aria era calda così come ora.
Si lasciarono sconfitti e col groppo alla gola.
Lei lo guardò allontanarsi che il sole era tramontato da poco.
Con una camicia bianca. A piedi. Con passo lento. Come per dire
-forse siamo ancora in tempo. Invece no.
E tornò l'inverno di nuovo a surgelare tutte le parole.
I piccioni viaggiatori non arrivavano mai a destinazione.
A Natale c'era la luminara a Firenze. Si andava in centro con la sciarpa.
Le mani facevano male dal freddo. Vino rosso in piazza S.Croce e piste ciclabili.
Piste ciclabili del cazzo. Ciclabili per finta.
Qualche volta di notte lei si sognava lui.
Lui da solo. Lui felice. Lui stanco. Lui arrogante. Lui di un'altra.
E sorrideva. Sempre sorrideva.
Più di una volta aveva ammesso di volergli bene.
Si ritrovarono per caso una sera di marzo che faceva freschino, ma non tanto.
Si ritrovarono per sbaglio e con le facce perplesse.
Si ritrovarono a intuito, senza leggere le istruzioni.

Fa così caldo stasera e io non ho ancora deciso se guardare un film o dormire,
se fare una doccia o una risata, se votare o no alle amministrative,
se dare un nome ai sentimenti,
o semplicemente viverli.


[definire è limitare è una frase di O.Wilde]

venerdì 1 gennaio 2010

Virus

L'anno inizia con una lunghissima scansione antivirus su di me.
C'è un altissimo numero di file infetti. Mi devo formattare.