Veramente non saprei dire se sono cambiate le stanze o sono cambiate le persone dentro le stanze o sono cambiate le persone dentro e basta. Io me lo ricordo. Stavamo tutto il giorno a percorrere le stesse piste ma vincevo sempre io.
Non avevamo mai fame ma in frigo c’erano sempre pizze surgelate carne surgelata prosciutto sottovuoto moretti da 66 estathè e latte ad alta digeribilità. Eravamo stanchi. (Magari una notte in un parcheggio semideserto è successo che lui l’ha guardata ed ha capito). Io lo sapevo, sarebbe stato meglio non riabbracciarti subito, ma credevo davvero che il mondo si potesse cambiare
da lì dentro, da quella macchina coi vetri appannati, io e te. Quella sera ero distrutta, facevo la doccia e ormai mi era passata la fame. Mi sono addormentata come sempre ma sapevo che loro sarebbero tornati, non ho spento la luce perché volevo svegliarmi ogni cinque minuti e vedere tutto, e cercare di mandarti affanculo ma non riuscire a liberarmi dell’odore di sigaretta delle sue dita, come un taglio che non cicatrizza, una ferita che non si rimargina e tutto questo è molto importante, ma e
un segreto, un segreto che ho potuto condividere solo con gli alberi della pineta e con il mio cuscino e con tutto ciò che ho bagnato di lacrime. Però mi avete visto anche ridere. (Magari un pomeriggio tornando dal mare è successo che lei lo ha guardato e ha deciso. Anche se le piaceva come suonava il pianoforte, le dita insicure, la schiena incurvata, il respiro trattenuto).
La mattina dopo stavo male, tanto male, così male che mi sembrava di stare benissimo, così stanca che avrei potuto arrivare a corsa da lui che ormai era così lontano. Ma ho deciso di non correre e di non sognare e di non sentire che la mia stanza non sarebbe stata più la stessa, quella stanza dove dovevo dormire ancora tante notti. E ho deciso anche di non dire mai più te lo giuro.
Di fare ancora una doccia,
di lavare via dal corpo i segni delle risate
e della stanchezza.
lunedì 3 maggio 2010
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