sabato 28 luglio 2012
Non ti perdere
Avrebbe voluto contare tutte le parole -una per una, registrarle con un Panasonic dell'84, riascoltarle sdraiata sul letto di una stanza umida e in penombra verso le sette di sera, decidendo di non cenare quella sera. Oppure in macchina, parcheggiata in un pratino con l'erba secca guardando un sole già tramontato. D'estate si dice che le giornate siano più lunghe, ma anche le notti a volte sembrano non passare mai. Avrebbe voluto registrare il rumore che faceva nell'appoggiare il tabacco sulla cartina, rollare la sigaretta, leccare la colla, strappare il pezzetto di carta avanzata, accartocciarlo, il rumore delle labbra che si staccano dal filtro, dal collo di vetro di una bottiglia di Heineken, dalla tazzina del caffè. Avrebbe voluto fotografare i dettagli con una Polaroid, il rosso scuro di un pezzo di stoffa che s'intravede dai pantaloni, il giallo di una scritta. Il colore della pelle di un viso che cambia da un giorno all'altro, il colore del dorso delle mani, dei gomiti, della nuca. Avrebbe voluto fotografare la posizione in cui stava seduto al tavolino di un bar, il modo in cui accavallava le gambe, misurare la velocità e l'ampiezza del gesto con cui si spostava i capelli dal viso. Avrebbe voluto memorizzare tutte le pieghe dei pantaloni, lo spessore delle suole consumate delle sue scarpe, i bottoni della camicia, l'attaccatura dei capelli, la forma delle unghie, il contorno della sua figura vista da lontano mentre chiedeva da accendere, l'odore rimasto per qualche giorno su una maglietta bianca con delle righe rosse davanti.
D'estate c'è come uno svelarsi prematuro dei corpi. Le braccia, le gambe, le schiene scoperte. D'estate le giornate sono più lunghe ma c'è come una fretta obbligata di mettere a nudo tutto e subito, di arrivare allo stomaco senza passare dalla bocca, dalla faringe, dall'esofago.
Avrebbe voluto guardare quel film al rallentatore, premere il tasto rew almeno due, cinque, otto volte e poi play lento. Lento. Lento. Come il processo della digestione. Avrebbe voluto dirgli tante cose, raccontare di quella volta che di notte aveva scoperto che lei non aveva ancora portato via il suo pianoforte, raccontare di quando era in terza liceo e cercava una maniera per non soccombere e un giorno la bidella aveva chiesto a voce alta alzi la mano chi vuole fare teatro, descrivere il tragitto che faceva in autostop dalla stazione di Ferrara a Pontelagoscuro, cantargli la prima strofa di una canzone che aveva inventato qualche anno fa. Avrebbe voluto chiedergli di che colore sono le sue lenzuola preferite, che sapone usa per lavare i panni, cosa si vede dalla finestra della sua cucina. Avrebbe voluto sapere a cosa pensa la notte prima di addormentarsi, come sta seduto quando legge, se mangia lo yogurt e a che gusto, se scrive dei biglietti di auguri per Natale e con che calligrafia. Chi aveva votato alle ultime elezioni, chi pensa di votare alle prossime. Avrebbe voluto vederlo almeno un'altra volta, almeno per qualche ora. Avrebbe osservato con cura le mani, i polsi, le spalle, l'espressione della faccia, l'inclinazione del collo, per trovare nei dettagli il senso dell'intero. Avrebbe voluto averlo incontrato di mattina presto, in un giorno di primavera, quando tutto deve ancora cominciare e gli alberi sono pieni di germogli e di promesse. Avrebbe voluto incontrarlo a piedi, da solo, un attimo prima del sorgere del sole, quando la luce che entra dalle finestre semiaperte è ancora fioca e gli uccellini non cantano ancora. Invece l'ha incontrato una sera d'estate e l'estate non fa sbocciare i fiori, fa maturare i frutti. E l'erba si secca tutta, le foglie sono ancora attaccate ai rami ma sanno già che l'autunno verrà per farle cadere, che nulla di ciò che vive è per sempre. D'estate le cose vive si preparano a morire.
-Non ti perdere. Questo il suo regalo.
E non perdersi in questi lunghi corridoi di luci al neon e soffitti altissimi è veramente quasi impossibile.
Ma è una ragazza intelligente e non si perderà.
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