martedì 22 giugno 2010

Questione di tempo

Solo al presente so parlar d'amore.
M. Gualtieri



Le rose mi fanno paura, le prendi in mano e tutti i petali cadono in un colpo solo. Ti resta in mano questa specie di mozzicone di fiore, triste. Un secondo fa era qualcosa di quasi ancora profumato. Era. Per questo le rose non vanno prese in mano, vanno solo guardate, godute finché ci sono. Quando sono vive, ma già in agonia. Quando sono rose, ma già ricordi. Solo al presente si possono guardare le rose. Solo al presente si cammina, si canta, si fa. I fiori appassiscono, i panni stingono, i cd si rigano. Le batterie si scaricano, l'inchiostro delle penne si esaurisce, la benzina finisce. Finisce il caffè, la carta igienica, finiscono le sigarette. Siamo questione di tempo.

(Le rose mi fanno paura).

Le candele si consumano, le pagine dei libri ingialliscono, le facce invecchiano, i capelli diventano grigi (che belli, i capelli grigi). Il mare leviga i pezzi di vetro, le radici dei pini spaccano l'asfalto, l'erba cresce fra le mattonelle del pavimento dell'asilo, non lo so se è vero, ma io ho sempre voluto immaginare questa cosa. L'erba che da lì, dalle mattonelle dell'asilo, infesta tutto. Tutto che viene ricoperto d'erba e gli alberi crescono dentro alle case. Tutto cambia, potrebbe succedere anche questo, credo. Invece no, la gravità farà il suo dovere, ci renderà belli di rughe e seni cadenti, ma l'erba non ce la può fare. L'erba viene sempre tenuta sotto controllo, tagliata, fermata. Le siepi potate, i rami tagliati, i prati tosati, come le pecore. Giardinetti fioriti e discariche a cielo aperto. E quanto ci vorrà a smaltire i filtri delle sigarette buttati nell'erba con nonchalance, quanto ci vorrà a smaltire i milioni di cazzate che dice Emilio Fede, quanto cazzo ci vorrà a smaltire i gingle delle pubblicità degli anni 80, e degli anni 90...e di tutti gli anni fino a oggi. E chissà cosa scriverebbe John se fosse vivo oggi, cosa canterebbe, dove farebbe la spesa. E che faccia avrebbero Jim Morrison e Kurt Cobain, e come si vestirebbero, chi avrebbero votato. Cerchiamo di fermare il tempo registrando le canzoni e imbiancando le pareti, tingendoci i capelli e rifacendo i marciapiedi, indossando le magliette del Che e dei Beatles, mettendo fiori freschi ai semafori e i conservanti nelle merendine. Ma il libeccio incurverà i tronchi dei pini, perderemo dei libri e delle fotografie, ci dimenticheremo dei compleanni e dei numeri di telefono, ci dimenticheremo anche i nomi di persone a cui abbiamo voluto bene. E il petrolio finirà, le coste verranno erose, le suole delle Converse si consumeranno molto prima.

Siamo questione di tempo, come i fiori.



( Però sarebbe bello che le foreste restassero foreste, che il mare restasse mare. )

lunedì 7 giugno 2010

Neruda confessa che ha vissuto.





Non è una gara, no che non lo è, me lo sono pure tatuata sul braccio per ricordarmelo, eppure ho l'impressione di perdere sempre. Se Banksy mi vedesse mi vergognerei tantissimo, sdraiata sul letto con delle frasi scarsamente interessanti da tradurre e l'ansia da prestazione per un esame che non c'entra un cazzo con la vita. Intanto le navi vengono assalite e le intercettazioni telefoniche stanno per essere fortemente limitate, meno male, così non sentiranno le cose stupidissime che ti dico quando mi chiami, tipo che i prodotti Fiorfiore coop hanno un ottimo rapporto qualità-prezzo, che l'autobus non arriva mai in orario, che ti voglio bene, che mi sento persa, che Bertolaso è un pezzo di merda, che mi piacerebbe andare a mangiare al giapponese stasera, che ho fatto un cd che credo non ti piacerà, che non ci sono più le mezze stagioni. E poi ci diciamo che sarebbe bello vedere il mare dalla mia finestra anche se siamo a Firenze. Che dovremmo avere più fiducia in noi. Porto fuori il cane, stanno uccidendo la Democrazia e altre frasi di circostanza. Vorrei poterti anche dire che ho fatto qualcosa di molto bello per te, ma ho solo lavato dei bicchieri che avevi lasciato nell'acquaio e ti ho lasciato un bigliettino con scritto "ci vediamo stasera". E vorrei poterti dire che hai lasciato la valigetta dei colori, delle tinte, delle seppie e delle terre, dei tramonti e delle città, dei vrum, dei vrap!, dei ti amo e quando te ne vai, delle auto ruggenti e delle gomme per cancellare su da me, per sentirmi in un fumetto di Pazienza, ma ti sei portato via tutto. Ascolto Lucio Dalla mentre aspetto che passi il caffè, guardo nel vuoto e mi vengono in mente titoli di giornale che non riesco a collegare alla realtà, come se fossero parole senza senso, slogan, come se non ci fosse più differenza fra Israele alla deriva, Suicidi in fabbrica e Scegli anche tu il made in Italy. Mi si accavallano nella testa la faccia di Umberto Bossi e quella di Naomi Campbell, le kefiah bianche e rosse e le mutande di pelle nera con le borchie di Giorgio Armani, o forse di Cavalli, chi lo sa, il sorriso a trentasei denti bianchi sbiancati da non so quale dentifricio e la faccia gonfia di Maradona. Niente di tutto questo mi sembra reale. E non so perchè invece mi sembrano reali gli occhiali insanguinati di John Lennon e penso a lui che muore in ospedale e alla faccia di Yoko, ai capelli di Yoko, alle mani di Yoko. Chissà com'era vestita quel giorno, di che colore aveva le scarpe. Io non voglio che tu muoia. Ora ti telefono e ti chiedo se sei vivo e mi basterà una qualsiasi risposta per piangere un po' dalla felicità, deglutire, chiedermi se ho la coscienza apposto e rispondermi comunque di sì, sorridere con gli occhi tristi e tornare a tradurre frasi dalla dubbia utilità. Questo è fare del mio meglio, per ora e qui. Neruda confessa che ha vissuto. Io ci sto provando.