Il letto non era esattamente pulito, la camera era carica di un odore non suo, dalla finestra filtrava una luce grigia, non era freddo, né caldo. Lui era da qualche parte, cioè precisamente lì, accanto a lei, con i calzini di spugna blu scuri bucati sul
calcagno, con i piedi sudati, con la bocca aperta, rannicchiato su un fianco. Non ci si affaccia alla finestra alle sette del mattino se si è nella stanza di un albergo a una stella nella periferia di una città brutta vuota e lontana. Lontana da dove? Non importa. I paesaggi a volte sono desolati. Lei sì era alzata da quel letto stando attenta a non farlo cigolare, ma invano. Aveva provato a respirare ma non c’era aria, aveva sete ma non c’era acqua, cercava nello specchio una qualsiasi ragione valida per trovarsi lì, ma doveva ammettere che non c’era nient’altro che la inutile costante voglia di evadere, o forse solo provare a esistere, essere un cazzo di qualcuno, anche per finta. Lui dormiva, sicuramente senza intenzione di svegliarsi perché solo lei, solo lei poteva aver voglia di starsene lì, con le mani e la faccia schiacciate contro un vetro freddo, a guardare la nebbia, le fabbriche, la propaganda elettorale, l’unica macchina parcheggiata e i cespugli tagliati forse l’anno scorso nel cortile triste di quell’albergo triste di quella periferia triste di quella città triste.
Una ragazza bella e un ragazzo bello dovrebbero trovarsi da qualche altra parte, alle sette e cinque di un lunedì di una primavera incostante, troppo fredda e bugiarda. Non dovrebbero esistere coperte marroncine e lenzuola bianco sporco non dovrebbero esistere tendine giallo ocra fatte all’uncinetto e scrivanie di legno finto, non dovrebbero esistere quadretti con le cornici di plastica scura che raffigurano frutta morta e uccelli morti e famiglie morte. Non dovrebbero esistere piastrelle del bagno verdoline e saponettine dal profumo nauseante e asciugamani lisi e rubinetti incrostati di calcare e ciambelle del cesso che puzzano di piscio e disinfettante.
Moriva di sete. Quella ragazza bella aveva le labbra secche e l’alito cattivo, i capelli puliti ma spettinati, gli occhi contornati del nero sfatto un po’ colato dell’eyeliner della sera prima lasciato lì come a volte si lasciano alle pareti le foto di qualcuno che non si ama più, solo perché toglierle fa fatica. Ora se qualcuno fosse stato lì l’avrebbe vista fissare il lavandino con l’aria schifata e indecisa. Più schifata che indecisa. L’acqua del rubinetto odorava di qualcosa che stava marcendo, di fosso, di fiume inquinato, di mare in putrefazione. La sua pelle conservava ancora l’odore della saliva di qualcun altro, ma non poteva ancora sentirla familiare. Le persone un giorno non si conoscono, il giorno dopo credono di conoscersi –perché si sono rivelate il segreto che si tenevano in serbo per le grandi occasioni, ma non si conoscono affatto. E forse non mangeranno mai dallo stesso piatto e non faranno mai una passeggiata e non ascolteranno musica dalla stessa autoradio e lui non presterà mai a lei il suo spazzolino e lei non gli regalerà mai un alberello con dei mandarini acerbi da piantare in un cazzo di giardinetto da qualche parte lontano da lì. Non sa neppure quando è il suo compleanno. Ma questo non c’entra nulla. In ogni caso non bevve, non si lavò e non tornò a letto.
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