martedì 31 agosto 2010
domenica 22 agosto 2010
No, non sei mai esistito.
-cosa leggi?
La tua voce potrebbe avere più o meno trent'anni.
-fumi?
-no
Tiri fuori dalla tasca laterale dei pantaloni blu scuri lunghi fino al ginocchio una busta di Old Holborn giallo, la tieni in mano, guardi per un po' davanti a te, come se ci fosse qualcosa da guardare, come se stesse succedendo qualcosa in questo pratino deserto. Poi la riponi nella stessa tasca laterale, senza aver fatto una sigaretta. Mi sforzo di sentire il tuo odore, sei amico o nemico? Allargo le narici, inspiro. Ma niente. Non sento niente. Sento odore di oleandro, che mi fa anche un po' schifo, sento odore di ferro, di salmastro. Ma non riesco a sentire l'odore dell'essere umano che sei. Con la scusa di recuperare una ciabatta mi allontano di altri cinque centrimetri.
-sei di queste parti?
-più o meno.
Abbasso lo sguardo e vedo che non hai scarpe né ciabatte. I piedi sporchi di chi cammina spesso scalzo. Potremmo mai allearci, io e te? Cosa ci racconteremmo se andassimo a mangiare un falafel insieme domani sera? Cosa mi regaleresti per il mio compleanno? Sospiro, non ti guardo. Chiudo il giornale e lo ripiego. Forse dovrei dire qualcosa, ti aspetteresti questo, che dicessi -io vado, o qualcosa del genere. Non parlo. Non ti guardo. Non riesco a sentire il tuo odore. Passa un'ambulanza. Passa un cane che annusa per terra, piscia al lato della panchina di fronte. Passa un'ape, o forse una vespa, non fa rumore. Faccio finta di leggere sulla copertina del giornale ormai richiuso il titolo che s'intravede Scontro Bce-Bundesbank, le divisioni del governo tedesco favoriscono Mario Draghi. Ti pieghi in avanti per dare un'occhiata.
Sospiriamo. Sospiro prima io, poi te. Ancora non ti guardo. Non ho niente da dirti. Non voglio sapere da dove vieni, quanti anni hai, chi sei. Non voglio parlare della siccità, del governo Monti, dell'inquinamento, dell'effetto serra. Non voglio che tu mi chieda se fumo, cosa leggo e dove vivo. Mentre lo penso abbozzo un sorriso di circostanza. Ti guardo per un attimo. Ti alzi, ti stiracchi un po' e muovi qualche passo. Hai la schiena un po' incavata, un corpo magro, lo dice il vuoto che s'intuisce dentro alla camicia bianca leggermente bagnata di sudore che ora si allontana. Ti guardo camminare fino in fondo al vialetto, non ti volti. Neanche quando tossisco. Neanche per accennare un saluto. Ti guardo camminare fino a che la tua figura, ormai rimpicciolita, svolta a sinistra e allora non esisti più. E resto ferma lì, con il giornale in mano. Per un attimo mi chiedo se tu sia mai esistito. Per un attimo me lo domando, e poi ne sono certa: no, non sei mai esistito. Allora posso rimettere il giornale spiegazzato nella borsa, alzarmi, infilarmi le ciabatte, camminare come se stessi andando da qualche parte.
domenica 1 agosto 2010
Io parlavo di fare una scelta.

Questa non è una lettera d'amore. Questa non è neanche una lettera. In realtà questa non potrebbe essere nient'altro che una lettera d'amore. D'amore e di piccoli accorgimenti, tipo tappare la bottiglietta del disinfettante sennò evapora. Di lettere d'amore non abbiamo bisogno, ci diciamo, perché siamo troppo intelligenti, il disincanto, il cinismo, l'amore è un'illusione e altre constatazioni molto utili. Gli alberi sono molto più intelligenti di noi. Non parlano non si sorridono cortesemente e non guardano il telegiornale. Non s'innamorano non investono soldi in piccole imprese artigianali e industriali, non piangono. Gli alberi si preoccupano di solcare il cemento con le loro radici prima che il cemento li soffochi definitivamente. Fanno ombra alle macchine e non hanno paura dei vigili urbani. Credo che stiano bene anche da soli. E soprattutto non si spostano. Non scappano. Non sfuggono. Non si sottraggono. Gli alberi sono anche infinitamente più belli di noi. Anche solo per il semplice fatto che non hanno gli occhi. Gli alberi non scrivono lettere d'amore, gli alberi diventano lettere d'amore. Per questo crediamo di non averne bisogno. Poi ci fermiamo al semaforo e con lo sguardo perso nel vuoto ci accorgiamo che non c'è rimasto più niente di nostro. Ci hanno tolto tutto in cambio di tutto senza nemmeno chiederci quale tutto preferivamo. Tanto tempo fa credevo che le parole avessero un vero significato. Che esistesse qualcosa oltre le convenzioni. Ho creduto che i sofficini findus fossero davvero migliori di quelli coop, non fosse altro per il fatto che costavano il doppio. Ho creduto di essere immensamente fortunata. E ingrata. Poi ho guardato l'erba. E l'asfalto. I glicini e le tettoie di ferro battuto. Le aiuole le rotatorie e il verde urbano (il verde urbano dice molto della nostra capacità di autoconsolazione) ho guardato le reti le recinzioni le transenne le staccionate di legno bianco le ringhiere i muri i muretti e tutti i tipi di confine. Ho guardato i cavi dell'alta tensione e i parcheggi per le roulotte, i bar sul lungomare, i videocitofoni. Ho guardato i divieti di sosta carico e scarico rimozione forzata. Il simbolino del carro attrezzi, a scanso di equivoci. E ho pensato: e se dio esistesse?
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